giovedì 22 novembre 2012

Scherzi...da prete

Sono circa le 11.30 di una domenica mattina fredda, grigia e piovosa, con qualche tuono in sottofondo.
Una di quelle mattine in cui a) ti domandi perché non sei rimasto a casa a dormire invece di andare a turnare, b) siccome il tempo fa schifo alla gente non viene voglia di fare niente e c) di conseguenza, magari, anche noi riusciamo a non far niente fino alla fine del turno.
Mentre penso queste cose, compiacendomi di quanto siano logiche, il suono del telefono mi interrompe.
DRIIIIIIN
"Ma nooooo" e credo che tutti e quattro abbiamo pensato la stessa cosa
"Rosso, persona incosciente in chiesa, via XXX a XXX"
Partiamo.
Piove a dirotto, il cielo è grigio, per strada non c'è nessuno, le sirene rimbombano nel vuoto dei paesi che scorrono dai finestrini battuti dalla pioggia.
Rosso. In chiesa. 
Arriviamo in pochissimo tempo, ci catapultiamo giù sotto la pioggia battente, attraversiamo la piazza deserta di corsa finché non siamo davanti ad una delle porte laterali d'entrata.
La spingiamo per entrare, la pioggia non smettere di cadere, i tuoni gravi accompagnano il pesante cigolio della porta di legno.
Buio.
Non c'è nessuno, nemmeno un'anima, solo candele accese e l'eco della pioggia nella navata.
Ci guardiamo e capiamo che c'è qualcosa che non va.
In due nanosecondi siamo di nuovo a bordo, bagnati, un pochino inquietati, pronti a ripartire.
Il caposquadra avvisa la Centrale che ci siamo trovati in una chiesa vuota, e che ci saremmo diretti nella seconda chiesa del paese per essere sicuri di averle provate tutte e così facciamo.
Arriviamo in pochi secondi, di nuovo con mezza ambulanza in spalla, sotto la pioggia battente scendiamo e corriamo verso il portone laterale in legno, lo apriamo e il cigolio riecheggia nella gelida e buia navata di una chiesa completamente vuota. Di nuovo.
Ci viene spontaneo guardarci le spalle, con una discreta inquietudine.
Vedere l'ambulanza alle nostre spalle, coi lampeggianti accesi è stato un gran sollievo, e ci siamo catapultati a bordo in un attimo.
"Ok, il paese ha due chiese, sono vuote, quindi rientriamo?" chiede il caposquadra alla Centrale
"Rientrate" ci dicono

E, ve lo garantisco, non potevamo essere più contenti.


sabato 17 novembre 2012

Voi non capite

"Giallo, donna di 35 anni, sospetta crisi d'ansia e relativa difficoltà respiratoria"
Ci avviamo al target, raggiunto in pochi minuti: villetta a schiera, un sentiero che porta dal cancelletto alla porta talmente stretto e con un angolo tremendo che ci siamo domandati tutti in quale supermercato avesse comprato la laurea il genio che ha progettato quel sentiero.
La porta di ingresso è socchiusa, e sentiamo delle urla.
"Adesso basta! Voi mi fate morire!"
"Permesso, siamo quelli dell'ambulanza" dice il caposquadra ed entriamo.
C'è un odore di immondizia che trova giustificazione nella stessa, sparsa su tutto il pavimento della cucina, che vediamo alla nostra sinistra, e nel corridoio.
La casa è spoglia, c'è il minimo indispensabile per viverci.
Entriamo in salotto e troviamo Raffaella, 35 anni, sudata, rossa in viso, visibilmente agitata e urlante; al suo fianco, in piedi, Ilaria, una ragazzina di 15 anni e di fianco a lei Francesco, stessa età.
"Raffaella hai rotto, cazzo! La devi finire!" urla Francesco, mentre Ilaria cerca di farlo smettere piangendo "Smettila idiota, non vedi che sta male??? Non urlare!!"
"Voi mi ammazzate così, disgraziati!" urla Raffaella sempre più affaticata
Cerchiamo di mettere fine a questo teatrino, allontanando Francesco e Ilaria da Raffaella, che sembra quasi calmarsi.
"Signora cerchi di calmarsi adesso, mi dice il suo nome?" le chiede il caposquadra
"Raff....Ra....Raffaella...." dice cercando di respirare
"Ok Raffaella, allora, mi dice che è successo?"
"Quei...quei due disgraziati! Ilaria, Francé voi mi fate morire! Io voglio morire, non ce la faccio più!" e inizia a singhiozzare
"Mamma non fare così!" ricomincia a piangere Ilaria e Francesco sfugge a me a all'autista, e ricomincia ad urlare "Ma te non capisci un cazzo! Io la proteggo tua figlia!"
Prendo Francesco per un braccio "Cerca di calmarti e non urlare" gli dico e metto lui e Ilaria in un angolo lontano da Raffella "Cosa sta succedendo ragazzi?"
Mentre Raffaella parla con il caposquadra, i due ragazzini snocciolano a me e all'autista la loro versione: Francesco è il fidanzatino di Ilaria, figlia di Raffaella, madre single. Lui vuole uscire di sera con Ilaria, ma Raffaella non vuole perché non si fida, e da lì il litigio.
"Ragazzi, avete chiamato voi quindi i soccorsi?" chiedo
"Si, ad un certo punto ha iniziato a soffocare, lei ha problemi di cuore, è sovrappeso...fa così tante cose...povera mamma...cazzo, Francé, è tutta colpa tua! Vaffanculo!" urla Ilaria, spaventata
"Smettetela di urlare, o peggiorate la situazione" dice fermo l'autista
"Non siamo dei bambini!" ribatte arrogante Francesco
"Allora non comportatevi come tali" gli dico secca, mettendolo finalmente a tacere
Ripristinata la calma, presi i parametri e i dati, decidiamo comunque di convincere Raffaella a venire con noi in ospedale visti i suoi precedenti problemi di cuore, così la carichiamo mentre la vicina di casa interviene portandosi a casa i due ragazzini.
Caricare Raffaella, che è decisamente corpulenta, è già complicato in uno spazio ristretto; in più il sentiero per uscire è talmente stretto che ad un certo punto, per uscire dal cancelletto angolato decidiamo di prendere di peso la barella.
Una volta caricata in ambulanza, cerchiamo di riprenderci dallo sforzo non indifferente e Raffaella comincia a piangere "Io voglio morire, non ce la faccio più! Sono stanca!"
"Raffaella, tutti siamo stanchi, passiamo periodi schifosi, però non bisogna mica arrendersi dai!" le dice il caposquadra
"Voi non capite" dice singhiozzando "Mi sono sposata giovane, ero incinta, ma ho sposato un pazzo che mi picchiava e voleva picchiare anche la bambina, così dopo il divorzio sono scappata perché mi stava addosso. Ogni tanto cambiamo casa, ho paura che un giorno venga qui e possa portarmi via la mia bambina! Mi spacco la schiena al lavoro tutti i giorni, vivo con la paura che possa ritrovarmelo fuori casa anche se lui non ha la patente e fino a qui non so come ci potrebbe arrivare visto che non ha nemmeno i soldi per un biglietto del pullman e abita dal lato opposto dell'Italia, ma ho paura. E mo quel deficiente vuole portare fuori la mia bambina di sera! Da soli! Ma stiamo scherzando??? E come faccio a dirglielo? Lei non lo sa, non voglio che abbia così paura anche lei! Non è giusto...."
Ha ragione, noi non possiamo capire davvero.
"E non l'hai denunciato?" chiedo
"Certo, ma alla fine lui non mi ha più toccata dopo il divorzio...però qualche volta me lo trovo in giro e non capisco! Non fa nulla di male, ma è inquietante vederlo passare per caso nei posti che frequento...Per questo ce ne siamo venuti qui, così lontano, completamente sole...." dice "Sono esausta...."
"Forza Raffaella" le diciamo cercando di sostenerla, pur sapendo che un dramma simile non l'avremmo certo risolto noi "Tieni duro per Ilaria! Lei è giovane, è normale che sia spericolata e spensierata, è giusto così"
"Lo so, però non riesco a non preoccuparmi e poi mi vengono queste brutte cose!"
Le porgiamo un fazzoletto, e restiamo in silenzio tenendole la mano.
Riuscivamo a percepire sia la sua paura sia la sua tristezza e frustrazione.
La lasciamo in Pronto Soccorso su un letto, coperta, esausta "Sto per addormentarmi...non dormo da tanto..." ci dice sottovoce raggomitolandosi nel lenzuolo
"Dormi Raffaella" le diciamo e lei chiude gli occhi mentre noi ce ne andiamo in silenzio.

domenica 11 novembre 2012

Familiarità

Oggi vi annoio un po' parlandovi di un discorso che facevo con un'amica non coinvolta nel mondo del volontariato.
Parlando, mi ha fatto una domanda che mi ha fatto sorridere.

"Ma come fate a dormire tutti assieme che manco vi conoscete? Si insomma, non siete in imbarazzo?"

Ripensando alle ultime chicche notturne, mi sono fatta una risata tra me e me, e ho pensato che tutto sommato è vero, è anomala come situazione.
Nella vita normale non si dorme con sconosciuti la prima sera che gli si stringe la mano, però è anche vero che non si affronta nemmeno la morte di solito con le persone che ci stanno attorno; non ci si trova con chiunque a spalare feci alle 6 del mattino dopo il collasso di un paziente, a gonfiare guanti per bambini spaventati disegnandoci sopra una faccia sorridente sperando che smettano di piangere, a portare giù pesi massimi da infinite rampe di scale, a tirare fuori persone da macchine distrutte, ad uscire nel cuore della notte per qualcuno che finge di star male, a sentirsi dire grazie per aver contribuito a salvare una vita, ad essere insultati perché il paziente in quel momento aveva le scatole girate, a pulire l'ambulanza come se fosse la nostra macchina preferita e potrei andare avanti.
Il rapporto che si crea tra soccorritori credo sia qualcosa di davvero particolare, in fin dei conti si è una squadra.
Certi "imbarazzi" non esistono coi colleghi, è un po' come essere a casa.
Sentirsi a casa in sede credo sia comune per un soccorritore; della serie che sono in giro e "passo in sede a salutare e a prendere un caffè" e così ci butto via le ore.
Vi è familiare come cosa, vero?
A volte dopo una giornata di lavoro, vedere la gente che se ne va verso casa mentre io mi dirigo in sede per il turno di notte mi fa uno strano effetto.
Non saprei spiegarlo, però appena metto piede in sede e mi ritrovo con la mia squadra la sensazione è quella che si prova quando si è a casa.
Andare a letto in una stanza comune è praticamente normale, e anzi vi dirò...dopo certe uscite, è confortante sapere di non essere soli nonostante tutto.
Ricordo ancora chiaramente la sensazione provata la notte dell'incidente di Edoardo (Click QUI per il post), a distanza di così tanto tempo da quell'evento ricordo chiaramente il suo nome, il suo cognome, la sua data di nascita, ma ancora di più ricordo la sensazione di sollievo provata quando io e i miei due colleghi abbiamo varcato la soglia della sede.
Se penso ad una squadra divertente, colorata e funzionante,
perdonatemi, ma loro sono sempre la prima immagine
che la mia memoria richiama :-D 
Un silenzio di tomba, al buio siamo entrati in punta di piedi benché in quel momento ci fossimo solo noi, e quando siamo andati a dormire stringendoci nei piumoni, tutti e tre ci siamo guardati in silenzio nel buio per qualche minuto ringraziando di non essere soli, sapendo che per qualsiasi cosa eravamo tutti e tre lì.
Passare la notte a giocare a carte, o ai giochi in scatola, a parlare delle cose più disparate, a guardare la TV, a dormire l'uno sull'altro sul divano, a mangiare di tutto pur sapendo che al mattino il lavoro ci aspetta, non è una distrazione, ma un modo come un altro per affrontare quello che a volte la realtà nasconde, e il modo migliore per dare il massimo là fuori senza farci inghiottire dagli eventi è essere una squadra, perché la realtà è dura...ma noi, assieme, lo siamo di più.

lunedì 5 novembre 2012

Pazienza

Sono le 19.35, attacco alle 20 quando faccio la notte, ma arrivo sempre una mezz'oretta prima sia la mattina sia la sera.
Metto piede in sede assieme ad altri miei due colleghi che turnano con me la notte, saluto l'equipaggio smontante e la caposquadra mi dice "Oggi zero uscite! Secondo me le fate tutte voi!"
"Vaffanculo!" le dico e in quel momento DRIIIIIIN
Restiamo tutti immobili.
Magari non ho sentito bene.
DRIIIIIN
Scatta una delle mie colleghe a prendere il servizio.
"Ragazzi, rosso! Correre! Ve l'avevo detto!" mi dice dandomi in mano il foglio
Manca il nostro autista, quindi esce quello di turno di pomeriggio con me e gli altri due che montano di notte.
Mentre imposto il navigatore sento per radio che ci chiamano, mandandoci in supporto l'Elisoccorso.
"Rosso, paziente incosciente a seguito di una caduta, sembra che non respiri, 50 anni" dico alla squadra 
Arriviamo in posto in pochi minuti, ci catapultiamo giù dal mezzo portandoci dietro tutto il possibile e l'impossibile.
"Di qui, di qui!" ci indica un ragazzo e noi lo seguiamo dentro ad una casa, dell'Elisoccorso ancora nessuna traccia.
Entrando vediamo Alfredo, 50 anni steso per terra con una salvietta sotto la testa, immobile, e la moglie che urla.
Ci buttiamo su di lui, constatando presenza di circolo, respiro e risposta alla chiamata.
Bene.
"E' caduto, è caduto e ora è così! Non si muove più! Mio Dio aiutatemi, dov'è il medico??"
"Signora si calmi" le dico cercando di allontanarla dal raggio d'azione dei miei colleghi impegnati a tenere la testa e mettere collarino, per poi passare ai parametri "Suo marito respira, il cuore batte, adesso vediamo come va" 
"Voi non capite! E' diabetico, cardiopatico, ha avuto problemi neurologici...insomma le ha avute tutte!" mi dice con esasperazione
"Mi spieghi com'è caduto, lei c'era?" intanto sento fuori il familiare rumore dell'Elisoccorso
"Si, gli è girata la testa, e invece di fare il gradino è caduto a peso morto sul tavolino da caffè del soggiorno!" mi dice "Io ho subito chiamato il 118, sono anche io volontaria da 30 anni ormai"
"Capisco..." intanto mi segno i parametri, abbiamo una visione abbastanza chiara di quello che potrebbe essere successo, e in quel momento entrano medico e infermiere ai quali riferisco tutta la situazione: Alfredo deve aver avuto sicuramente un malore di natura neurologica, che ha causato la rovinosa caduta contro il tavolino e il conseguente stato di afasia.
"Grazie ragazzi, caricatelo" mi dice il medico, e mentre lui sta visionando le cartelle di Alfredo, noi ci accingiamo a caricarlo in ambulanza.
Alfredo non è proprio un fuscello, e con non poca fatica e l'aiuto dell'infermiere riusciamo a metterlo sulla barella e successivamente sul mezzo.
Alfredo deve aver preso una bella botta, c'è un piccolo taglio sopra l'ematoma, inoltre non è completamente lucido, lo si potrebbe definire un paziente di tipo V.
"Ricoveriamo in codice giallo" dice il medico, e l'equipe dell'Elicottero decide di seguirci
"Dovete medicargli il taglio! Sta sanguinando! Prendete le garze e il disinfettante!" mi urla la signora da fuori l'ambulanza, mentre Alfredo inizia ad avere i primi conati di vomito e noi ci chiudiamo in ambulanza.
"Preparate l'aspiratore" ci dice l'infermiere, e mentre l'ambulanza schizza sulle strade della provincia in direzione ospedale, noi aspiriamo Alfredo che ogni tanto tira su schiuma e catarro, si agita e riesce a tenerci occupati tutti e quattro costantemente.
Pulisco velocemente il taglietto sul capo, ma essendo un segno superficiale decidiamo di non infagottarlo troppo.
Alfredo ha gli occhi sbarrati, crediamo sia spaventato e disorientato, ma tuttavia stabile.
Arriviamo presto in PS.
Entro nella sala del triage, riferisco la situazione, il pronto soccorso è intasato e hanno un codice rosso nella sala emergenze.
Sto per finire di compilare i documenti quando sento una voce familiare alle mie spalle "Che cavolo ci fa ancora qui! Deve essere visto da un medico!!" la moglie di Alfredo sbraita in PS
"Signora si calmi, suo marito al momento è stabile, appena il medico si libera verrà a vederlo" le dice l'infermiere
"Non siete capaci di fare nulla" continua lei "E' una vergogna!"
"Signora per cortesia, stia lì con suo marito, il medico arriverà presto" le dico indicandole la lettiga di Alfredo
"Guarda, guarda qui! Sanguina ancora! Non siete capaci di fare il vostro lavoro! Non avete nemmeno tamponato la ferita! Io sono una soccorritrice da 30 anni! So come si fanno queste cose e voi siete incapaci!"
In quel momento la mia pazienza decide di andare in ferie.
"Io sono dentro da molto meno, ma almeno ho imparato a distinguere le priorità a differenza sua. Io e la mia squadra abbiamo lavorato con un medico e un infermiere, i quali hanno visto come abbiamo gestito la situazione, supportando le loro istruzioni, quindi vediamo di mantenere i toni bassi" le dico, imponendomi di non andare oltre.
Lei mi manda a quel paese in malo modo, e borbottando va dal marito.
"Complimenti, non avrei saputo dire meglio senza usare parolacce" mi dice sottovoce l'infermiere facendomi l'occhiolino "Alcuni sono davvero impossibili!"
"Ne so qualcosa..." rispondo sospirando
In realtà mi ribolle il sangue, perché va bene che siamo volontari, ma sentire una presunta collega insultare me e la mia squadra ingiustificatamente mi fa perdere le staffe.
Stiamo per andarcene quando sento ancora la moglie di Alfredo urlare "Hey voi! I documenti di mio marito! Ve li state dimenticando! Io non li ho!" mi dice con fare arrogante
Io mi giro, e col tono più piatto che potessi fare, cercando di limitare la mia espressività facciale (che di solito è decisamente spiccata), le dico "Li ha il medico, li chieda a lui" e me ne vado.
La pazienza è la virtù dei forti...e dei soccorritori.


giovedì 1 novembre 2012

Imbarazzo

Sono circa le 10 del mattino quando il telefono suona, "malore a XXX, donna, 40 anni, svenuta in bagno, giallo".
Ero certificata da pochi giorni, per inciso, e uscivo ancora come quarto vista l'inesperienza.
La via che la Centrale ci dà non esiste né per il TomTom, né sullo stradario.
Qui volano le prime parolacce del mio caposquadra, che agguanta il telefono e chiama in Centrale.
"Si ciao è la XXX, la Via XXX non esiste qui! Dove andiamo? Siamo in Via XXX adesso" chiede
"Ah già che è nuova...allora, da lì dovete andare sempre dritti, ve la trovate sulla destra, villette a schiera, civico 8"
"Ok"
Troviamo la via poco dopo, ma del numero civico manco l'ombra.
Essendo tutte case nuovissime, per altro disposte su due file parallele con ingressi all'interno, i numeri civici risultano invisibili.
Scendiamo dal mezzo, passiamo in mezzo alla fila di case correndo, ma del numero 8 nemmeno l'ombra.
Altre parolacce.
Il caposquadra chiama di nuovo la C.O. "Qui non troviamo la casa, c'è qualcuno che ci aspetta?"
"Avevo chiesto all'utente di attendervi fuori, adesso lo richiamo"
Pochi minuti dopo, un uomo imponente, con una canottiera bianca e bisunta, ci viene incontro con calma.
"E' lei che ha chiamato?" chiediamo
"Si si, venite, da questa parte...mi ero dimenticato che il civico ancora non l'abbiamo esposto, stavo guardando la tv e mi ero dimenticato che non sapete dove siamo..."
Sconsolati lo seguiamo; ci conduce davanti ad una villetta, che ha già 4 o 5 persone curiose nel giardinetto.
Entriamo e un forte odore di feci e di qualcos'altro che avremmo capito soltanto dopo, ci investe.
Ci avviciniamo al bagno, e vediamo la scena.
Bagno piccolo e per terra, tra il lavandino e i sanitari c'è una donna, sulla trentina, decisamente sovrappeso, in orizzontale.
"Oh Dio che figura, mamma mia...ma perché..." ed inizia a piangere
"E' mia sorella, si chiama Elisa" ci dice sotto voce l'uomo in canottiera
"Elisa" la chiama il caposquadra "Adesso la tiriamo fuori, ok?" poi fa cenno a me di mettermi alla testa e agli altri due di recuperare tutti i presidi del caso.
Con manovre degne dei migliori contorsionisti, riusciamo a infilare ad Elisa il collarino, tirarla fuori dal bagno sulla spinale, prenderle i parametri e metterla sulla barella per caricarla in ambulanza.
Dopo aver fatto tutte le domande del caso, il caposquadra chiama la Centrale mentre io e gli altri due ci accingiamo a caricarla.
E' davvero pesante, ma cerchiamo di non farle capire che stiamo faticando, perché lei non smette di piangere.
Una volta caricata, anche l'ambulanza si impregna di quell'odore che avevamo sentito appena entrati.
"Elisa, lei ricorda tutto vero?" le domando di nuovo
"Si...mio Dio...volevo andare in bagno, ma mi è girata la testa e sono caduta...così mi sono ritrovata per terra...ho le mestruazioni...e mi sono fatta tutto dentro!" e singhiozza ancora più forte per l'imbarazzo
"Elisa non si preoccupi, purtroppo sono cose che succedono" le dice la collega rassicurandola
"Si ma che schifo" singhiozza lei "Io lavoro in una struttura di assistenza per anziani, so cosa vuol dire pulire una persona e non è mica bello! Figuriamoci per voi che non dovreste nemmeno farlo!"
"Elisa, noi siamo dei tuttofare" le dico cercando di sdrammatizzare "Non preoccuparti, ok?"
Lei cerca di sorridere tra un singhiozzo e l'altro "Vedete sono pure...si insomma...grossa ecco...e voi mi dovete sollevare! E' brutto non riuscire ad avere il controllo del proprio corpo!"
"In queste situazioni, meno ci si muove e meglio è" le dice la collega "Adesso stai tranquilla che ti diamo una pulita per quanto possiamo fare, è sempre meglio di nulla" e in due ci mettiamo a pulire il pulibile, anche se essendo spinalizzata non potevamo fare molto, era pur sempre qualcosa.
Poco dopo partiamo alla volta dell'ospedale.
Elisa era un po' meno imbarazzata, però faticava a guardarci negli occhi, ed eravamo tre donne con un solo uomo al volante.
"Meno male che siete tre donne..." ci dice a bassa voce "Sicuramente il vostro collega è bravo, però che vergogna...avrà visto qualcosa?"
"Elisa, il nostro collega è in servizio da parecchi anni, ne ha viste di cose, non si impressiona né scandalizza tanto facilmente!" le dice il caposquadra "Noi ci siamo da un po' meno, ma se fossimo così impressionabili, non faremmo questo mestiere, no?"
"Eh si..." ci dice con un timido sorriso
In poco arriviamo in ospedale, la sbarelliamo e la salutiamo.
"Grazie, davvero...siete stati davvero gentili" ci dice imbarazzata
Le sorridiamo e ce ne andiamo.
Ci siamo guardate in faccia tutte e tre.
"Cavolo che sfortuna...pure il ciclo..." dice la mia collega
"Sarà per quello che è andata per terra...." dice la mia caposquadra
"Beh è capitato anche a me di sentirmi male...per fortuna non mi è servita l'ambulanza!!!" constato risalendo sul mezzo
"A me non potrà mai succedere! Ehehehe" ridacchia il nostro autista, che si becca uno sguardo di fuoco da parte di tutte e tre "Ok ok scherzo...cioè, no non scherzo...va beh fanciulle, avete capito!"
"Si, si...abbiamo capito!"